Gruppo PONTECORVO
PONTE CURVO
Il toponimo stesso Pontecorvo deriva da Pons-Curvus ossia ponte curvo in latino mentre, nello stemma della città, campeggia in primo piano un ponte. Il Ponte Curvo è un simbolo identificativo ed identitario per la città di Pontecorvo al pari del Colosseo per Roma o per il Duomo a Milano.
Bene ambientale architettonico: Architettura
Ponte curvo ad arcate con blocchi di pietra in alcuni piloni e muratura in altri, con la particolarità dell’offrire la pancia alla corrente, seguendo gli schemi tipici dell’architettura di epoca romana per i ponti di grandi dimensioni.
Costruttori di epoca romana e pre romana e maestranze locali nel corso dei secoli per opere di restauro, ristrutturazione e manutenzione.
Età pre-romana
Comune di Pontecorvo, Strada Provinciale Leuciana
41.4546
13.6648
Bene architettonico di proprietà di Enti Territoriali
Perfettamente percorribile ed oggetto di continua e scrupolosa manutenzione da parte degli Enti Territoriali, esso è vitale via di comunicazione tra le due sponde del fiume Liri che da secoli unisce.
Il Ponte Curvo L’antichissimo ponte curvo da cui la città di Pontecorvo, in provincia di Frosinone, prese il nome: è citato dallo storico romano Tito Livio nella sua opera in quanto fu rotto dai Fregellani per impedire ad Annibale l’entrata nella loro città. La Via Latina passava da Cassino ad Aquino ma, grazie ad una deviazione, era facilissimo raggiungere la città di Pontecorvo quindi il ponte curvo, grandioso ponte preromano, metteva in comunicazione strade di una certa importanza che a sua volta conducevano ad altre città non meno importanti. In quel tempo il ponte aveva nove arcate, altre due furono aggiunte nel secolo passato per dare più sfogo alle acque”. L’abate Pietro Coccarelli nella sua “Storia di Pontecorvo” ci parla delle origini e delle vicende che hanno caratterizzato la storia del ponte: “Sino al 1860 epoca in cui il detto ponte fu di nuovo rotto, …l’arco rotto, che poi fu rifatto; era una arcata formata con tante piccole pietre quadre….nel mentre che i suoi pilastri e tutti gli altri archi, presentavano un’architettura barbara….consistente in grossissimi pezzi di travertino molto bene fra loro connessi, ma la di fuor alcune basi dei summenzionati, rimaste ancor intatte…..sotto di questo sol arco, fin al presente si osservano sotto le acque, massimamente in tempo d’estate, quando le acque vi son più basse, macigni di travertino lavorati di simil struttura ivi caduti….. Per nostra disgrazia questo ponte così antico, di cui nell’istoria non si conosce affatto l’origine, presentemente non mostra più l’antico suo aspetto, perché nel 29 ottobre 1860 fu minato senza alcun utile e necessità dalle truppe Napoletane per impedire ai Piemontesi la marcia verso Gaeta, che per questa parte sembrava diretta. Le autorità tutte di Pontecorvo non mancarono di pregare quel generale , affinché lasciasse di distruggere un’opera così antica e forse unica del suo genere in Italia, ma le preghiere a nulla valsero, né si poté fare resistenza, essendo forte il numero di essi, che con buona parte ancor di cavalleria avevano messa la città in stadio di assedio. Per fortuna ad una sola di esse, gravida già di otto barili di polvere, si appiccò il fuoco dopo il mezzo-giorno, ma essa sola bastò a mandare a terra non solo l’arco, altra volta rotto, ma un altro ancor più grande, che eragli a contatto dalla parte di mezzo-giorno. Così rotto il ponte, le truppe napoletane sfilarono a suon di musicali strumenti per la strada che conduce a S. Giovanni Incarico, per andare siccome si disse, a minare l’altro ponte, esistente verso Isoletta, fatto costruire pochi anni prima dal defunto Ferdinando II, il che poi non si verificò, avendo i nemici presa altra direzione”. Anche il Bergamaschi (Francesco Saverio) nel suo manoscritto “Trattato storico critico di Fregelle Pontecorvo”, conferma quanto già il Coccarelli ci ha detto sull’origine pelasgica del ponte, sul rifacimento di un’arcata e sui resti visibili nell’alveo del fiume durante i periodi di siccità. Ma il Bergamaschi attribuisce la convessità del ponte verso la corrente non ad un errore di costruzione, bensì ad un “prodigio di architettura”che lo ha salvato sino ai nostri giorni. La convessità (di qui la forma curva del ponte) frena la corrente distribuendola verso le varie arcate: nelle alluvioni i legni galleggianti nelle acque non urtano il ponte, ma vengono convogliati verso l’una o l’altra apertura delle arcate e vi passano senza urtare i piloni. Come venivano costruiti i ponti romani? In Italia si contano 330 ponti in pietra ed arriviamo a ben 900 se vengono considerati quei ponti che utilizzano archi, piloni o fondamenta di epoca romana. I ponti romani venivano realizzati in pietra ed utilizzavano l'arco portante come struttura fondamentale. Erano realizzati con materiali non deperibili, come la pietra, senza metallo nella struttura portante. Non erano cioè di cemento armato! Venivano costruiti deviando il corso d’acqua tramite palizzate e dighe, seguito dallo scavo per raggiungere la roccia su cui fondare i piloni. Si alzava una struttura in legno di forma semicircolare, la centina su cui appoggiare i conci. Si utilizzavano quindi delle gru per posizionarvi sopra le pietre per formare le due metà di un arco che sarebbero infine state unite dalla chiave di volta. Le pietre potevano essere cementate con malta.