Gruppo BISACCIA
MAB Museo Archeologico di Bisaccia (AV) - https://www.museobisaccia.it
Il bene scelto è un museo archeologico, situato all’interno del Castello Ducale di Bisaccia. È ricco di reperti derivanti dalle campagne di scavo effettuate nelle necropoli scoperte in località Cimitero vecchio a partire dagli anni ‘70 del XXI sec. sotto la guida dell’archeologo Giancarlo Bailo Modesti.
Bene archeologico: Immobile
Nel maggio 2009, al piano terra del Castello Ducale, viene aperto al pubblico il Museo Civico di Bisaccia; all’interno una mostra permanente dal titolo “Alle origini degli irpini”, vede esposti i reperti risalenti alla prima e alla seconda età del Ferro, relativi alla cultura di Oliveto Citra-Cairano. Il percorso consente di ricostruire la storia della comunità irpina e di Bisaccia attraverso un percorso cronologico scandito dai diversi corredi funerari di cinquanta tombe a fossa, scelte tra le circa 150 ritrovate, durante gli scavi eseguiti sotto la direzione del prof. Giancarlo Bailo Modesto, sulla collina del Cimitero Vecchio, posto nel lato occidentale del centro storico della città. I reperti sono disposti in tre sale del museo ed evidenziano, attraverso la trasformazione manifatturiera, l’evolversi nel tempo della comunità che si insediò sul territorio. Tra gli oggetti più significativi troviamo la grande brocca nella caratteristica forma biconica della prima età del ferro, l’olla globulare per le derrate alimentari, che definiva lo status del proprietario, risalente all’ultimo quarto dell’VIII secolo a. C., e le diverse tipologie di fibule. All’interno del museo è stata poi riprodotta in scala 1:1 una delle tombe più importanti, quella della cosiddetta “principessa”, il cui ricco corredo è costituito da oggetti e monili di raro pregio come collane d’ambra, pendagli in bronzo, numerose fibule e bracciali ad arco inflesso. Oltre ai pannelli didattici e didascalie, il visitatore viene informato dalla proiezione continua di un video in 3D animato che ricostruisce il primitivo insediamento protostorico con scene di vita quotidiana. I corredi tipici di quest’età presentano forme biconiche in ceramica d’impasto non depurata e oggetti in bronzo, quali fibule ed armi. Dalla seconda metà dell’VIII secolo a.C. si arricchiscono in oggetti, specchio del benessere che aveva pervaso la società, dovuto forse a nuove forme di sfruttamento della terra. Esempio principe è il corredo della tomba 76, appartenuto ad una giovane tessitrice, ricco di ornamenti personali, emblema dello status elevato di chi aveva il privilegio di fabbricare tessuti. Per quanto riguarda la prima metà dell’VII secolo a.C. la necropoli documenta il passaggio da una società basata su gruppi familiari estesi e senza differenziazioni a livello sociale, ad un sistema gentilizio-clientelare in cui le differenze economiche erano anche sociali. Il tutto è testimoniato proprio dai corredi: bracciali, orecchini, bule, pendagli, anelli e ceramiche acrome e decorate di importazione, che testimoniano l’esistenza di rapporti commerciali con la vicina Daunia e la costa tirrenica. È stato inoltre individuato un nucleo di sepolture relative al gruppo gentilizio che “governava” la comunità indigena di Bisaccia. Nell’ultima sala sono esposti ornamenti personali ed oggetti d’uso comune, armi, oltre alla tomba 82, appartenuta ad una donna, il cui corredo consta di preziosissimi monili in bronzo. Emblematica è la sezione dedicata alla classe delle fibule, oggetti utilizzati nell’abbigliamento sia femminile sia maschile. Al fine di rendere fruibile in toto il patrimonio archeologico contenuto all’interno del Museo, quest’ultima sala prevede lo svolgimento di attività didattiche in cui un ruolo fondamentale gioca la multimedialità.
Allestimento a cura del Direttore del Museo l’Archeologo dott. Giampiero Galasso.
Istallazione del Museo: Maggio 2009
Museo Archeologico di Bisaccia all’interno del Castello Ducale (C.so Romuleo)
41.0145
15.3753
Proprietà del MIBACT (Ministero della Cultura)
Lo stato di conservazione è perfetto, l’equipe scientifica provvede a curare i reperti con grande cura. Nella prima Età del Ferro i corredi sono generalmente abbastanza poveri e non particolarmente esuberanti; rarissimi sono gli oggetti di ornamento: si trovano infatti solo ornamenti funzionali, come la spilla che serviva a chiudere il vestito sul petto. Le donne, oltre alla spilla, raramente hanno qualche anellino o qualche bottoncino di bronzo, ma si tratta nel complesso di corredi molto sobri. C’è poi il corredo ceramico, che generalmente è costituito dalla grande brocca biconica, all’interno della quale spesso c’è un piccolo attingitoio - una tazza o un’anforetta -, mentre, nei corredi più esuberanti, a questi due vasi si aggiunge una tazza più grande che noi chiamiamo ciotola-attingitoio, perché rappresenta una via intermedia tra una forma aperta e una forma chiusa. Il servizio ceramico era costantemente deposto ai piedi del defunto sia nelle tombe maschili sia nelle tombe femminili e il dato interessante, che a volte non si ritrova in altre popolazioni indigene contemporanee, è che si tratta sempre dello stesso servizio sia per l’uomo che per la donna. L’elemento che cambia, però, e che distingue i due sessi già a livello dell’esame degli oggetti nel momento della deposizione finale, è invece rappresentato dagli oggetti di ornamento, perché gli uomini hanno sempre spille del tipo ad arco serpeggiante, mentre le donne hanno la caratteristica fibula ‘ad occhiali’ (o a doppia spirale), che è uno degli elementi di tradizione adriatica che rimanda all’area illirica e che non compare a Pontecagnano o nella Valle del Sarno. Se il servizio ceramico ai piedi del defunto è lo stesso per uomini e per donne, l’uomo però è a volte connotato con oggetti tipicamente maschili come le armi - la punta di lancia ad esempio - o con strumenti a lui funzionali, come il rasoio. La donna invece, quando vuole connotare il proprio sesso, presenta la fusaiola, che è un oggetto connesso con l’arte del filare e, quindi, con attività tipicamente femminili. L’immagine di una comunità non particolarmente ricca, che non aveva quindi un grande surplus del quale poteva privarsi per donarlo, ad esempio, come corredo funebre ai morti, e una società tutto sommato abbastanza egualitaria. In realtà, come l’antropologia moderna ci insegna, una società veramente egualitaria probabilmente non è esistita mai, si può affermare però che era egualitaria dal punto di vista delle nostre categorie moderne, le categorie economiche attraverso cui noi oggi misuriamo uguaglianze e disuguaglianze. Probabilmente, poi, va considerato che ci sono segni che non sono rimasti all’archeologo - si ricordi che spesso non si trovano neanche tutti gli oggetti della cultura materiale che eventualmente erano stati deposti in una tomba -, oppure segni, non della cultura materiale, che nella tomba a livello funerario non venivano indicati e che segnalavano però, all’interno di quella comunità, una differenza tra individui (si pensi ad esempio all’ipotesi che i cadaveri avessero tatuaggi, che noi non abbiamo più ma che magari rappresentavano un elemento di prestigio all’interno della comunità). La differenza passa invece, come spesso accade per queste popolazioni primitive, per le classi d’età. Se andiamo ad analizzare le tombe degli individui non ancora adulti, quindi non ancora iniziati alla comunità, vediamo che anche quando hanno un corredo particolarmente esuberante di ceramica, hanno, sì, la tazza e lo scodellone, ma non hanno mai il servizio tipico che comprende la grande brocca e l’attingitoio. Hanno poi anch’essi le spille, che connotano, quando sono bambini avanti nell’età, il sesso maschile e femminile. Ma a loro è negato il servizio che identifica l’individuo adulto. Talvolta addirittura sono privi del corredo ceramico e hanno solo ornamenti. Dopo questo secondo livello di classi d’età, a un livello ancora più basso si collocano i neonati o i bambini nella prima infanzia, che di solito sono deposti in piccole fosse sul terreno nelle quali lo scheletro spesso non è rimasto se non sotto forma di piccoli frustuli di ossa. Le tombe di neonato si mostrano particolarmente interessanti perché al loro interno hanno sempre e soltanto la grande spilla maschile dei vari tipi ad arco serpeggiante, presente con esemplari di dimensioni normali - quindi non miniaturizzate per un bambino - se non, a volte, addirittura di dimensioni considerevoli. Vi è poi un esempio di tomba di infante in cui il neonato non era deposto nella fossa, ma vi era un buco nel terreno con un grande vaso che conteneva all’interno le spoglie del bimbo. Insieme alle spoglie del bambino si rinvennero un coltello di ferro, assolutamente improbabile come oggetto d’ornamento personale del neonato, un’enorme spilla ad arco serpeggiante e una punta di lancia di bronzo, identica a quella degli adulti maschi.
Questo è il quadro che dagli inizi della cultura, quindi dal pieno IX secolo a.C., prosegue fino circa a tutta la metà l’VIII secolo a.C. Poi improvvisamente, in modo anche abbastanza repentino e senza passaggi intermedi, le tombe più recenti, che vanno dalla seconda metà dell’VIII agli inizi del VII secolo a.C., si mostrano completamente diverse. Sono tombe generalmente molto più ricche di materiali e soprattutto si osserva che si è spezzata quella antica equivalenza tra il servizio dell’uomo e il servizio della donna ai piedi del morto. L’uomo, infatti, ha costantemente ai piedi una grande olla che non è più l’olla biconica del passato ma è la grande olla da derrate, quella che costituisce il simbolo della ricchezza agricola e il bene sostanziale del gruppo; al suo interno si trova ancora spesso l’attingitoio, costituito da un’anforetta o da una tazza. All’interno dei corredi funebri si comincia a rinvenire anche suppellettile ceramica che non è prodotta in loco ma che è prodotta dalle culture indigene vicine, in particolare della Daunia. E questo ci dice che si tratta ormai di una comunità che produce anche più di quanto le basti per la sua stessa sussistenza e che ha qualche cosa che può scambiare. Mentre l’immagine della comunità precedente era quella di una comunità tesa alla sopravvivenza e chiusa al suo interno, questa è l’immagine di una comunità invece in fase di sviluppo, che si apre all’esterno e che è in un momento di profonda crescita. A un dato punto si avvertano esigenze di materie prime da parte del mondo greco e vengono coinvolte le popolazioni dei dintorni: uno degli elementi forti che interessano ai Greci per qualche motivo è la lana della Daunia. La Daunia e i centri dauni sono a breve distanza da Bisaccia e Bisaccia si trova sugli antichi tratturi di tradizione pastorale che già dall’Età preistorica funzionavano proprio in riferimento al fenomeno della transumanza. Le popolazioni di Oliveto-Cairano sono collocate, come abbiamo detto all’inizio, in punti strategici, controllano tutti i nodi viari fondamentali, non solo il sistema Ofanto-Sele, ma - Bisaccia in particolare - anche i corsi fluviali del Calaggio, del Carapelle e le varie direttrici che portano poi verso la costa campana e verso la Daunia. I Dauni erano i produttori della lana e che, poiché erano legati anche per la comune origine illirica da una sorta di somiglianza culturale con le genti di Oliveto-Cairano, venga loro spontanea la collaborazione con queste popolazioni. Le genti di Oliveto-Cairano approfittano della loro collocazione strategica per fare poi da mediatori nei riguardi della costa probabilmente non direttamente con i Greci, ma con i centri indigeni forti, come Pontecagnano. Ma non è solo il commercio della lana che mettono in campo le genti di Oliveto-Cairano, bensì anche l’alta capacità tecnologica e artigianale delle proprie donne. Addirittura, in un determinato momento, queste donne creano dei veri e propri ateliers, delle piccole comunità di immigrati nei centri più vicini ai luoghi di mercato, dando così vita ad un sistema complesso. Dalla metà del V secolo a.C. in poi sono anni cruciali per le nostre zone e per la Campania in generale, perché comincia quel fenomeno che è stato chiamato di sannitizzazione, che riconduce tutta la regione a un forte grado di omogeneità politica, culturale e militare. Le nostre genti peraltro sono quelle sospette nelle fonti antiche per aver sostenuto l’elemento sannitico dell’interno: sappiamo infatti che la sannitizzazione è anche una presa del potere delle città greche da parte dell’elemento sannitico, ma è probabile - come ci testimoniano le fonti - che per fare questo abbiano chiamato a raccolta anche le tribù dell’interno con cui avevano rapporti di solidarietà. Finisce la cultura di Oliveto-Cairano, ma l’éthnos di Oliveto-Cairano si scioglie in questo momento più vasto di sannitizzazione della Campania.